Come la legge sull’esportazione sta uccidendo il mercato librario italiano
PERCHÉ LA LEGGE SULL’ESPORTAZIONE STA UCCIDENDO IL MERCATO LIBRARIO ITALIANO?
Che l’Italia sia una “anomalia” nel panorama europeo sotto il profilo burocratico e legislativo è cosa nota ed evidente. Ma in alcuni specifici settori, queste “peculiarità” assurgono a vere e proprie eccezioni riguardo alle norme “comuni”.
Uno di questi ambiti è proprio il commercio dei beni culturali (ossia le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà, art. 2 par. 2 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), definizione che include anche i beni librari, archivistici e bibliografici appartenenti a privati.
Il suddetto codice si prefige lo scopo di tutelare i suddetti beni e di regolarne il commercio. Commercio, quello librario ad esempio, sviluppatosi in contemporanea alla nascita ed alla diffusione dei beni citati.
La vendita tra privati (privato-privato, libreria-privato, privato-libreria) è sempre possibile in Italia, previa osservanza di alcune norme di sicurezza indicate nel Regio decreto (di epoca e stampo fascista) 18 giugno 1931, n. 773, ossia il T.U.L.P.S., Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.
Ma veniamo al punto focale che qui vogliamo trattare, ossia l’esportazione dei beni librari.
L’articolo 74 del Codice dei Beni Culturali indica che per l’esportazione di libri al di fuori dei confini nazionali si richiede l’ottenimento di una licenza di esportazione, da richiedersi ai preposti uffici delle Soprintendenze Regionali. Questa norma vale per (quasi) tutti i beni culturali (presenti sul territorio nazionale) che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni, nonché le cose indicate al comma 3, lettera d-bis), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni (art. 10 Codice dei Beni Culturali).
Ossia, per essere chiari, un volume Taschen stampato a fine anni ‘90 (alcuni dei quali ancora in commercio per centinaia/migliaia di euro) non necessita alcun adempimento burocratio per poter essere esportato; viceversa, un qualsiasi volume Sonzogno di inizio ‘900 – magari del valore inferiore ad € 50 – necessita che si ottenga tale licenza prima di potergli far varcare i confini nazionali (e – attenzione! – questo passaggio si rende necessario non solo in caso di vendita, ma anche nel malaugurato caso che si decida di voler passare le vacanze all’estero portando con se un libro del 1940 da leggere!!!).
Contrariamente alla quasi totalità degli altri paesi Europei, dove una delle discrimini relative all’esportazione è una soglia di valore (spesso superiore ad € 10-20mila), l’unica variabile presa in considerazione dai legislatori e politici italiani è l’anno di produzione/stampa.
Ora, visto che il Codice dei Beni Culturali cita (art. 1 par. 1-2) che la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente codice. La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura, andrebbe approfondito come una supposta tutela del patrimonio culturale possa passare per un brigoso iter burocratico che equipara incunaboli rari a libri stampati magari ottant’anni fa in migliaia di copie, di cui centinaia di esemplari siano attualmente conservati in decine di biblioteche pubbliche ed il cui valore monetario si aggiri intorno alle poche decine di euro.
(NOTA A MARGINE: la faccenda si fa ancora più stringente – anche se con maggiore cognizione di causa – per quanto riguarda il materiale archivistico, quindi manoscritti, autografi, etc.: a) per i documenti appartenenti a privati, dovrà procedersi alla distinzione in due categorie, a seconda che essi siano anteriori o posteriori all’anno 1550. b) Per la prima categoria si conferma il divieto tassativo, già sancito nella rammentata circolare del Ministero dell’Interno n. 20/1974, di consentirne l’uscita definitiva dal territorio nazionale. c) Per la seconda categoria va, a sua volta, suddivisa in due classi: la prima (documenti che vanno dall’anno 1551 fino al 1815) per la quale l’uscita definitiva potrà essere consentita solo quando si tratti di copie o duplicati in genere; […] Circolare n. 52, 22/11/2017 della Direzione Generale Archivi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo).
Piccolo excursus, perché si è parlato di “brigoso iter burocratico”? Qui di seguito indicati brevemente i passaggi per poter ottenere la licenza di esportazione:
– iscrizione online al sistema online S.U.E. (Sistema Informativo Uffici Esportazione del Ministero dei Beni Culturali), sito internet notevolmente obsoleto (sviluppato nei primi anni 2000) e non facilmente intuitivo
– apertura di una pratica per il rilascio della licenza;
– inserimento di tutti i dati (descrizione, epoca, autore, prezzo stimato, immagini ed altri) di rilievo sul bene in questione;
– attesa circa la convocazione di una commissione che vagli la richiesta;
– possibile convocazione fisica presso gli uffici per presa visione diretta del bene;
– stampa ed invio (in triplice copia accompagnata da marca da bollo di € 16) della pratica da inviare (o consegnare fisicamente, in caso di convocazione) all’ufficio;
– rilascio della licenza (o apertura della pratica di diniego).
Normale tempistica (senza considerare l’attuale emergenza Covid ed i periodi di ferie) per la chiusura pratica ed ottenimento della licenza: giorni 45-60 (anche più, si varia da ufficio ad ufficio).
Passiamo ora ad analizzare il perché tutta questa faccenda in realtà non rappresenti – nell’ambito librario per lo meno – una reale istanza di tutela:
- Equiparare il libro a stampa (per sua definizione, e nella stragrande maggioranza dei casi, un multiplo) ad un bene archeologico, ad un dipinto, ad un disegno, ad una scultura, ecc. è totalmente sbagliato, trattandosi questi ultimi di unicum, la cui tutela è sacrosanta. Questa deve considerarsi come necessaria premessa
- L’utilizzo di un sistema – per quanto online – totalmente obsoleto, lento e non affiancato da dinamiche d’ufficio che sveltiscano le pratiche è indegno di una supposta modernità cui lo stato si fregia incessantemente
- La totale mancanza di discrimine – ragionata – circa la rarità (esplicata magari nella consistenza di esemplari dell’opera in esame nel circuito bibliotecario nazionale), il valore (che, in ogni caso, un attore del mercato spesso sa meglio determinare di un funzionario regionale) e la relativà importanza storico/culturale determina una visione storicamente e filologicamente erronea del bene libro, della sua circolazione, rarità e significato.
- La grande fetta del mercato librario si è spostato negli anni su internet. Vi sono numerose piattaforme online per la vendita specializzata di libri (occorre precisare che queste ultime, giustamente, non sono soggette a nessuna legislazione in materia, non essendo venditori/proprietari/consegnatari dei libri; il loro unico ruolo è la vendita di uno spazio web dove poter svolgere transazioni di vendita). Ogni sito web dedicato alla vendita di libri richiede una tempistica ragionevole per l’evasione degli ordini ricevuti presso i singoli librai. Chiaramente 60 giorni non può essere considerato come un lasso di tempo ragionevole, specialmente in virtù del fatto che queste piattaforme si rivolgono a venditori/collezionisti di tutto il mondo, ove le leggi di tutela sono molto più elastiche ed intelligenti. Questo non può che portare ad un alto quantitativo di ordini inevasi (e/o cancellati dagli impazienti acquirenti) causa impossibilità di coniugare i tempi di rilascio delle licenze con quelli indicati dai marketplace per effettuare le spedizioni. Questo è il maggiore problema, in quanto il più fervido mercato di libri antichi è al di fuori d’Italia (che, seppur vanti ancora uno zoccolo duro di collezionisti, è più prestigiosa sotto il profilo dell’offerta che della domanda).
- L’impossibilità di completare un ordine online comporta perdite monetarie, di tempo e di credibilità nei confronti dei venditori italiani, sempre più ‘ignorati’ dai clienti, i quali preferiscono ricevere celermente un libro (pagato immediatamente e magari anche profumatamente), a costo di rivolgersi ad un venditore non italiano che dispone della stessa edizione, fosse pure in condizioni leggermente peggiori e magari sovrastimata.
Quello cui stiamo assistendo è la volontà (si, volontà. Il nascondere la testa sotto la sabbia da parte delle istituzioni e il non prendere in considerazione queste istanze, più volte sollevate, non può che essere additato come mancanza di volontà di tutelare un mercato) di rovinare l’intero settore della vendita antiquaria e d’occasione del libro in Italia.
Sono purtroppo molti i casi registrati di librai antiquari che hanno – giocoforza – dovuto chiudere la propria attività anche in ragione di questa mancanza di lungimiranza e di questa catena burocratica/legislativa.
Il panorama che gli operatori specializzati della vendita libraria antiquaria si vedono prospettarsi è sempre più grigio: da un lato, il commercio online che non può basarsi sull’eccezione italiana e che quindi richiede una gestione del mercato in linea con una gestione elastica (mutuata da ben altre legislazioni) e non limitativa; dall’altro, la concorrenza dei colleghi stranieri e quella – se vogliamo, sleale – dei privati che ignorano (in entrambe le declinazioni del termine) questi adempimenti e si avvantaggiano degli spazi di manovra lasciati liberi dai librai professionisti.
Dovendosi muovere entro questo quadro normativo ottuso e sordo, il libraio italiano è costretto ad una perdita della sua principale caratteristica: la figura che maggiormente, nei secoli, ha contribuito alla reale tutela del patrimonio culturale rappresentato dai libri a stampa. La circolazione dei libri, la continua ricomposizione di importanti biblioteche, la conservazione del libro come oggetto, questi dovrebbero essere i cardini della tutela del libro. Non una presupposta ed arrogante tutela pubblica che spesso sfocia nell’incuria e negli episodi di vandalizzazione come purtroppo la cronaca ci ha tristemente e sovente ricordato.
Che fare quindi? Purtroppo non sembra esserci una vera e propria soluzione dietro l’angolo. Per quanto nel maggio 2018 vi fu un ‘tentativo’ (nulla di più di fatto, visto l’esito) di tramutare in legge un decreto che proponeva l’introduzione dell’autocertificazione per volumi di valore inferiore ad € 13.500 – che sarebbe stato un bel passo avanti! -, sotto il profilo legislativo tutto tace. Anche perché la circolare n.31 del luglio 2018 della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio sancisce che, per poter rendere ‘operativa’ questa soglia di valore, la conditio sine qua non avrebbe dovuto essere l’adeguamento del Sue in tal senso entro il 31 dicembre 2019. Indovina indovinello? Adeguamento mai posto in essere.
Le associazione di categoria ed i singoli librai dovrebbero prendere in mano la situazione finalmente. Ed in modo deciso, alla luce della triste realtà.
Dal momento che tutte le interpellanze presso le opportune sedi si sono concretizzate in un nulla di fatto, sarebbe forse il caso di passare a pratiche più incisive. Campagne stampa pressanti, ad esempio, o petizioni online promosse da librai e rivolte a colleghi, collezionisti e a tutto quel mondo della cultura che ritiene queste normative inique e dannose. Per arrivare fino a pratiche più intransigenti, quali forse lo sciopero fiscale o giornate di autodenuncia, in cui i librai decidano contemporaneamente di esportare, senza passare tramite l’iter burocratico, libri senza alcun valore storico/monetario ma soggetti all’obbligo di licenza, dimostrando quanto una copia Mondadori 1926 de Le Capinere (non ce ne voglia Marino Moretti!) venduta in Francia non rappresenti alcuna sottrazione al patrimonio culturale pubblico italiano.
Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere. Bertolt Brecht
Francesco Magnani