Maurizio BUSCARINO – Moni Ovadia, un figlio dello yiddish – 2000

17.20

Descrizione

Maurizio BUSCARINO – Moni ovadia, un figlio dello yiddish; testi di Maurizio Buscarino, Elmar Locher, Claudio Magris, Giovanni Raboni, Roberta Valtorta. – 2000. Leonardo Arte, Milano; seta con titoli dorati impressi e sovraccoperta figurata; 4°, cm 31.5; 1.vol; pagg. 166; ottimo esemplare; Numerose fotografie in b/n. Testo su due colonne. MAURIZIO BUSCARINO è nato a Bergamo il 7 Maggio 1944. Dal 1973 percorre come fotografo il territorio del teatro, da quello europeo a quello americano e orientale. La sua opera è un imponente lavoro sul teatro contemporaneo e, allo stesso tempo, una tenace e singolare rappresentazione della sua visione del mondo. Fra i suoi ultimi libri: Il circo della morte, Art&, Udine, 1997; Zirkus des Todes, Sturzflüge, Bozen, 1997; Pier’Alli, il paesaggio della musica, Leonardo Arte, Milano, 1998; Il popolo del teatro, Leonardo Arte, Milano, 1999; Le Marche dei Teatri, (2 volumi) Skira, Milano, 2000; Moni Ovadia, un figlio dello Yiddish, Leonardo Arte, Milano 2000; Post Cantum, un paese, Stamargeno, Zogno, 2001; Per antiche vie. La giornata libera di un fotografo, Leonardo Arte, Milano, 2001; Kantor, Leonardo Arte, Milano, 2001; Il teatro segreto, Leonardo Arte, Milano, 2002.Dall’archivio della memoria Maurizio Buscarino ha tratto una storia fotografica assai inconsueta di Moni Ovadia. L’approccio è quello di un uomo che propone la sua visione di un altro uomo, in un percorso che procede dal presente verso il passato. Dice Buscarino: Diventiamo quello che siamo. Nel paesaggio teatrale contemporaneo Moni Ovadia occupa un posto unico: ha fatto conoscere al pubblico italiano la cultura yiddish, quasi sconosciuta fino a non molti anni fa, riproponendo i tratti fondamentali di quel popolo, sterminato dagli eventi di storia. E diventa così il cantore della cultura ebraica della diaspora e dell’esilio. Nel suo universo poetico si incrociano realtà e fantasia, in un linguaggio che alterna il tragico e il comico, verità dolorose, struggenti, nostalgiche ma anche esilaranti. La sua stranezza teatrale e drammaturgica, almeno riferita alla cultura del nostro tempo è forse quella di essere, dentro il teatro, una presenza morale, che il pubblico sente, perché ne sente il bisogno.