GIOBERTI Vincenzo – IL GESUITA MODERNO – 1846 / 1847

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Descrizione

GIOBERTI Vincenzo – IL GESUITA MODERNO per Vincenzo Gioberti – Edizione originale – Tomo Primo. T. Secondo, T. Terzo, T. Quarto, T. Quinto – 1846 – 1847. Losanna, S. Bonamici e Compagni Tipografi-Editori; Simil pelle con al dorso, in tela, titoli in oro. Tracce d’uso, soprattutto nel pimo tomo (angoli inferiori) e nel quarto (strappi e mancanze alla parte inferiore del dorso; cm. 22,8×15; 5 volumi; 2871 complessive; Buono. Tracce d’uso alla rilegatura; Vincenzo Gioberti (Torino 1801 – Parigi 1852) fu un filosofo e uomo politico, laureato in teologia e sacerdote, cappellano di cortedal 1826. Avendo espresso ideali repubblicani, fu esiliato e visse a Parigi e Bruxelles dal 1834 al 1845. Nel 1843 pubblicò Del primato morale e civile degli italiani, in cui perorava una soluzione federalista del problema nazionale sotto l’egida del papa. Nel frattempo era riaffiorata nel G. una virulenta vena polemica che trovò uno sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno, apparso a Losanna nel 1846-47. Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio del G. da Bruxelles a Parigi (1845), reso possibile dall’autonomia finanziaria assicuratagli dalla buona riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da P.D. Pinelli per una nuova edizione delle sue opere complete. A Parigi il G. si trovò nel pieno dello scontro sulle scuole delle congregazioni e nel cuore delle controversie sulla Compagnia di Gesù innescate dai corsi tenuti al Collège de France da E. Quinet e da J. Michelet. Soprattutto, suscitò grande eco nell’animo del G., che ne avrebbe tratto a più riprese corrosivi spunti antigesuitici, il coinvolgimento della Compagnia nei coevi conflitti politico-religiosi della Svizzera, sfociati poi nella guerra del Sonderbund. Impostato come una replica alle critiche dei padri Pellico e Curci, Il gesuita moderno si trasformò strada facendo in un farraginoso lavoro in cinque volumi (l’ultimo dei quali di documenti) scritto dal G. in uno stato di tensione e di inquietudine che lo induceva a sospettare di una sistematica opera di spionaggio messo in atto da emissari della Compagnia nei suoi confronti. L’opera era un concentrato di argomenti antigesuitici ricavati dalla storia e collegati da un’idea dominante: la radicale e irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in quanto pervaso da misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un cattolicesimo civile, ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il gesuitismo come il principale e più subdolo nemico del Risorgimento, il G. prendeva anche in considerazione, in un’appendice al quinto volume, le tesi enunciate dal p. L. Taparelli d’Azeglio nel saggio Della nazionalità (1846), dove si affermava non essere l’indipendenza politica un attributo necessario della nazionalità, e veniva definito inammissibile il perseguimento di uno Stato nazionale se in conflitto con i diritti dei sovrani. Il G. vi contrapponeva un’idea di nazionalità come creatrice di diritti, fattore sostanziale e incoercibile di identità di un popolo, in tal modo proclamando non solo l’incomponibile divaricazione tra due idee di nazionalità, ma anche prendendo definitivo congedo dalle sfumature legittimistiche del Primato. Gli eccessi polemici del Gesuita moderno, singolarmente contrastanti con la moderazione del Primato, gli valsero un’accoglienza controversa e suscitarono non poche critiche anche da parte di cattolici liberali come Balbo, Rosmini e Tommaseo; ma assicurarono ulteriore udienza e popolarità all’autore e un’ampia circolazione, superiore a quella del Primato, all’opera, che non era stata interdetta dalla censura ecclesiastica ed era venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico spirava forte negli Stati europei (la seconda edizione, del 1847, fu tirata in 12.000 copie). Rientrato a Torino venne coinvolto nella direzione politica del Regno di Sardegna, prima come ministro e poi come Presidente del Consiglio.. Fu anche ambasciatore a Parigi e, in seguito, ritiratosi a vita privata e dedicatosi agli studi, diede alle stampe, nel 1851, Del rinnovamento civile d’Italia, la sua seconda grande opera politica. Vincenzo Gioberti (Torino 1801 – Parigi 1852) fu un filosofo e uomo politico, laureato in teologia e sacerdote, cappellano di cortedal 1826. Avendo espresso ideali repubblicani, fu esiliato e visse a Parigi e Bruxelles dal 1834 al 1845. Nel 1843 pubblicò Del primato morale e civile degli italiani, in cui perorava una soluzione federalista del problema nazionale sotto l’egida del papa. Nel frattempo era riaffiorata nel G. una virulenta vena polemica che trovò uno sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno, apparso a Losanna nel 1846-47. Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio del G. da Bruxelles a Parigi (1845), reso possibile dall’autonomia finanziaria assicuratagli dalla buona riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da P.D. Pinelli per una nuova edizione delle sue opere complete. A Parigi il G. si trovò nel pieno dello scontro sulle scuole delle congregazioni e nel cuore delle controversie sulla Compagnia di Gesù innescate dai corsi tenuti al Collège de France da E. Quinet e da J. Michelet. Soprattutto, suscitò grande eco nell’animo del G., che ne avrebbe tratto a più riprese corrosivi spunti antigesuitici, il coinvolgimento della Compagnia nei coevi conflitti politico-religiosi della Svizzera, sfociati poi nella guerra del Sonderbund. Impostato come una replica alle critiche dei padri Pellico e Curci, Il gesuita moderno si trasformò strada facendo in un farraginoso lavoro in cinque volumi (l’ultimo dei quali di documenti) scritto dal G. in uno stato di tensione e di inquietudine che lo induceva a sospettare di una sistematica opera di spionaggio messo in atto da emissari della Compagnia nei suoi confronti. L’opera era un concentrato di argomenti antigesuitici ricavati dalla storia e collegati da un’idea dominante: la radicale e irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in quanto pervaso da misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un cattolicesimo civile, ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il gesuitismo come il principale e più subdolo nemico del Risorgimento, il G. prendeva anche in considerazione, in un’appendice al quinto volume, le tesi enunciate dal p. L. Taparelli d’Azeglio nel saggio Della nazionalità (1846), dove si affermava non essere l’indipendenza politica un attributo necessario della nazionalità, e veniva definito inammissibile il perseguimento di uno Stato nazionale se in conflitto con i diritti dei sovrani. Il G. vi contrapponeva un’idea di nazionalità come creatrice di diritti, fattore sostanziale e incoercibile di identità di un popolo, in tal modo proclamando non solo l’incomponibile divaricazione tra due idee di nazionalità, ma anche prendendo definitivo congedo dalle sfumature legittimistiche del Primato. Gli eccessi polemici del Gesuita moderno, singolarmente contrastanti con la moderazione del Primato, gli valsero un’accoglienza controversa e suscitarono non poche critiche anche da parte di cattolici liberali come Balbo, Rosmini e Tommaseo; ma assicurarono ulteriore udienza e popolarità all’autore e un’ampia circolazione, superiore a quella del Primato, all’opera, che non era stata interdetta dalla censura ecclesiastica ed era venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico spirava forte negli Stati europei (la seconda edizione, del 1847, fu tirata in 12.000 copie). Rientrato a Torino venne coinvolto nella direzione politica del Regno di Sardegna, prima come ministro e poi come Presidente del Consiglio.. Fu anche ambasciatore a Parigi e, in seguito, ritiratosi a vita privata e dedicatosi agli studi, diede alle stampe, nel 1851, Del rinnovamento civile d’Italia, la sua seconda grande opera politica