VELLEIO PATERCOLO / VALERIO MASSIMO – Istoria romana / Detti e fatti memorabili Volume primo – 1826

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Descrizione

VELLEIO PATERCOLO (VELLEIUS PATERCULUS Caius) – VALERIUS MAXIMUS (VALERIO MASSIMO) – Velleio Patercolo Istoria romana – Valerio Massimo Detti e fatti memorabili. Volume primo – 1826. Milano : per Nicolo BettonI; Cartone marmorizzato con pelle agli angoli e al dorso, su cui insistono fregi e titolo dorati. Abrasioni e strappi; ; 2 volumi; 860 complessive; Molto buono, con leggere fioriture e qualche foro di tarlo ma con la rilegatura piuttosto compromessa; Vellèio Patèrcolo è stato uno storico latino (n. 19 a. C. circa – m. 31 d. C. circa). Dopo aver ricoperto importanti cariche militari e politiche, scrisse una storia di Roma dalle origini al 30 d.C.: Ad M. Vinicium libri duo (29), dedicata a M. Vinicio (console nel 30 d.C.). Oriundo campano e di famiglia ragguardevole, rivestì cariche militari e politiche di rilievo al seguito di Gaio Cesare e poi di Tiberio in Germania; fu anche pretore; si ritirò quindi a vita privata. La sua opera storiografica (ad M. Vinicium libri duo) è divisa in due libri: il primo libro comprende la storia dall’origine di Roma al 146 a.C.; il secondo, il periodo seguente fino al 30 d.C. La storia degli avvenimenti recenti, conformemente al metodo degli annalisti, viene trattata con maggiore ampiezza rispetto a quella più remota. Nel complesso i due libri, conservati con varie lacune, costituiscono non un’arida esposizione di fatti ma una sintetica storia della civiltà romana: caratteristica dell’opera è l’inclusione di notizie letterarie, oltre ad accenni alle opere pubbliche, allo sviluppo della colonizzazione romana, ecc. Ostile all’imperialismo universale di Roma, V. P. fu favorevole alla formazione di uno stato romano-italico; in politica interna fu eminentemente conservatore. Nell’esposizione degli avvenimenti si allontanò spesso dall’obiettività e indulse in adulazioni verso Tiberio. Lo stile è ampolloso e prolisso. Le fonti da lui usate sono Catone, Ortensio, Livio, l’autobiografia di Augusto. Valèrio Màssimo era uno scrittore latino (n. 1° sec. a.C. – m. 1° sec. d.C.); protetto da Sesto Pompeo (console nel 14 d.C.), lo seguì nel proconsolato d’Asia (27 d.C. circa); la sua opera, dedicata a Tiberio, fu pubblicata dopo la caduta di Seiano, la cui memoria è in essa esecrata. L’opera di V. M. è una raccolta di fatti e detti memorabili in 9 libri: Factorum ac dictorum memorabilium libri IX. I fatti e i detti sono raccolti in 95 rubriche, ciascuna delle quali è divisa in due parti, una per i Romani e una per gli stranieri. Le cose romane hanno la prevalenza: sono 636 contro 320 straniere. Il tono è patriottico e moraleggiante, con evidente finalità retorica: la raccolta vale come strumento da scuola di retorica. Nella compilazione V. M. si avvalse di precedenti raccolte analoghe (quali quelle di Pomponio Rufo, Igino, forse Cornelio Nepote), ma usò anche direttamente autori latini come Cicerone, Varrone, Tito Livio, Sallustio, Pompeo Trogo, e greci come Senofonte, Teopompo, Diodoro Siculo. Lo stile di V. M. è scolastico: la maniera è tesa alla ricerca dell’effetto, perché ogni episodio sia stilizzato come esempio. L’opera ebbe fortuna in età antica come nel Medioevo; ne sono giunte due epitomi antiche e una medievale. Giorgio Dati <1506-1557> è il traduttore dell’opera di Valerio Massimo; Spiridione Petrettini è il traduttore di Velleio Patercolo.. Vellèio Patèrcolo è stato uno storico latino (n. 19 a. C. circa – m. 31 d. C. circa). Dopo aver ricoperto importanti cariche militari e politiche, scrisse una storia di Roma dalle origini al 30 d.C.: Ad M. Vinicium libri duo (29), dedicata a M. Vinicio (console nel 30 d.C.). Oriundo campano e di famiglia ragguardevole, rivestì cariche militari e politiche di rilievo al seguito di Gaio Cesare e poi di Tiberio in Germania; fu anche pretore; si ritirò quindi a vita privata. La sua opera storiografica (ad M. Vinicium libri duo) è divisa in due libri: il primo libro comprende la storia dall’origine di Roma al 146 a.C.; il secondo, il periodo seguente fino al 30 d.C. La storia degli avvenimenti recenti, conformemente al metodo degli annalisti, viene trattata con maggiore ampiezza rispetto a quella più remota. Nel complesso i due libri, conservati con varie lacune, costituiscono non un’arida esposizione di fatti ma una sintetica storia della civiltà romana: caratteristica dell’opera è l’inclusione di notizie letterarie, oltre ad accenni alle opere pubbliche, allo sviluppo della colonizzazione romana, ecc. Ostile all’imperialismo universale di Roma, V. P. fu favorevole alla formazione di uno stato romano-italico; in politica interna fu eminentemente conservatore. Nell’esposizione degli avvenimenti si allontanò spesso dall’obiettività e indulse in adulazioni verso Tiberio. Lo stile è ampolloso e prolisso. Le fonti da lui usate sono Catone, Ortensio, Livio, l’autobiografia di Augusto. Valèrio Màssimo era uno scrittore latino (n. 1° sec. a.C. – m. 1° sec. d.C.); protetto da Sesto Pompeo (console nel 14 d.C.), lo seguì nel proconsolato d’Asia (27 d.C. circa); la sua opera, dedicata a Tiberio, fu pubblicata dopo la caduta di Seiano, la cui memoria è in essa esecrata. L’opera di V. M. è una raccolta di fatti e detti memorabili in 9 libri: Factorum ac dictorum memorabilium libri IX. I fatti e i detti sono raccolti in 95 rubriche, ciascuna delle quali è divisa in due parti, una per i Romani e una per gli stranieri. Le cose romane hanno la prevalenza: sono 636 contro 320 straniere. Il tono è patriottico e moraleggiante, con evidente finalità retorica: la raccolta vale come strumento da scuola di retorica. Nella compilazione V. M. si avvalse di precedenti raccolte analoghe (quali quelle di Pomponio Rufo, Igino, forse Cornelio Nepote), ma usò anche direttamente autori latini come Cicerone, Varrone, Tito Livio, Sallustio, Pompeo Trogo, e greci come Senofonte, Teopompo, Diodoro Siculo. Lo stile di V. M. è scolastico: la maniera è tesa alla ricerca dell’effetto, perché ogni episodio sia stilizzato come esempio. L’opera ebbe fortuna in età antica come nel Medioevo; ne sono giunte due epitomi antiche e una medievale. Giorgio Dati <1506-1557> è il traduttore dell’opera di Valerio Massimo; Spiridione Petrettini è il traduttore di Velleio Patercolo.